SEPARAZIONE E DIVORZIO: DIFFERENZA TRA ASSEGNO DI MANTENIMENTO E ASSEGNO DIVORZILE

Nell’ambito dei procedimenti finalizzati all’interruzione del vincolo matrimoniale si palesa una tematica afferente il diritto/dovere al mantenimento dell’ex coniuge e spesso si fa confusione tra i differenti sostegni economici e soprattutto sui requisiti che li giustificano.

L’assegno di mantenimento è una misura di tipo economico che viene concordata tra i coniugi al momento della separazione ovvero decisa dal giudice in caso di mancato accordo, viene erogato mensilmente con lo scopo di garantire il mantenimento del coniuge economicamente più debole in quanto privo di propri redditi o con redditi insufficienti per adempiere alle proprie necessità. Il presupposto fondamentale per la concessione a favore di uno dei coniugi è quindi la sostanziale sproporzione di reddito tra moglie e marito, tuttavia sono requisiti valutabili – soprattutto in sede giudiziale – anche la durata del matrimonio e la capacità del coniuge beneficiario di lavorare e mantenersi da solo.

Presupposti differenti invece, per l’assegno divorzile che pur avendo una funzione di assistenza materiale, viene corrisposto al coniuge più bisognoso quando il vincolo matrimoniale cessa definitivamente con la sentenza di divorzio.

Inoltre, se il primo è quasi automaticamente attribuito laddove sussista il presupposto fondamentale, l’assegno di divorzio sconta una valutazione più severa.

Come risulta dalla Legge sul Divorzio nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione di uno dei due coniugi, si deve tener conto anche di una serie di elementi, tra i quali spiccano, da un lato, l’impossibilità di procurarseli per motivi di salute o per la difficoltà di  collocare la propria qualificazione personale nel mercato del lavoro in quel dato momento storico e sociale e, dall’altro lato, l’eventuale protrarsi di una convivenza more uxorio, dalla quale derivi un miglioramento delle condizioni economiche del coniuge più debole.

In questo contesto è da valutarsi anche il contributo reso dalla moglie durante il matrimonio qualora la stessa abbia sacrificato la propria attività lavorativa dedicandosi interamente alla famiglia ed ai figli.

Infatti secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, il giudice è tenuto a decidere sulla quantificazione dell’assegno divorzile anche verificando ed accertando se e quanto l’altro coniuge abbia contribuito alla carriera dell’ex marito e quindi alla formazione del patrimonio familiare. In altre parole il contributo apportato dall’ex coniuge, che non ha lavorato per occuparsi della famiglia è uno dei criteri per la determinazione dell’assegno divorzile.

La recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 11790/2021) ha appunto stabilito che l’assegno divorzile si fonda anche sul principio di solidarietà ed è finalizzato a riconoscere all’ex coniuge anche “un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

In buona sostanza quindi dopo una vita matrimoniale che si è protratta per un apprezzabile arco temporale, il coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso, occupandosi dei figli e della casa, anche all’affermazione lavorativo-professionale dell’altro coniuge, acquista il diritto all’assegno di divorzio, non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge.

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